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Non basta un adesivo in ricordo di chi non c’è più

Incidente di Thierry Neuville in Cile

Il mondo dello sport spagnolo è in lutto e si interroga, interdetto, sulle cause di due terribili incidenti che si sono verificati nella giornata del 25 settembre a poca distanza uno dall’altro. Nel primo, avvenuto sul circuito di Jerez de la Frontera, ha perso la vita il giovane motociclista Dean Berta Vinales, di soli 15 anni, che una volta caduto dalla sua moto è stato travolto dagli altri motociclisti che lo seguivano. Il giovane stava disputando una gara della Supersport 300, una categoria del campionato Superbike.

Pochi minuti dopo la notizia di un’altra tragedia ha fatto immediatamente il giro della Spagna. Infatti, nel corso del Rally Villa de Llanes, il pilota Jaime Gil e il suo copilota Diego Calvo, sono morti dopo averso perso il controllo dell’auto, una Seat Marbella, andandosi a schiantare contro il guardaril. Per loro non vi è stato nulla da fare, in quanto sarebbero morti praticamente sul colpo. Inutili i tentativi di rianimazione da parte dei sanitari presenti già sulla prova speciale dell’incidente. L’incidente è avvenuto sulla veloce e impegnativa discesa del Fito.

Anche in questa occasione nulla di nuovo all’orizzonte del panorama editoriale italiano, con la corsa al clickbait tra foto e video postati su vari siti, blog e pagine Facebook. Ma non è questo il punto che volevo approfondire. Volevo parlare di sicurezza, guardando negli occhi il pericolo che ogni pilota e copilota corre e senza l’ipocrita retorica che solitamente aleggia intorno a dei morti. Oggi lo sport piange Jaime Gil e Diego Calvo, noi abbiamo già versato le nostre lacrime amare. Così, ho ritrovato in rete la riflessione di Sergio Biancolli. Drammaticamente perfetta. E sapete perché? Perché l’ha scritta nel 2005. E siamo qui ancora a parlarne, beh… c’è qualcosa che non va.

Per chi non sapesse Sergio Biancolli è un appassionato, un po’ nostalgico, ma molto obiettivo (mai termine fu più appropriato), pilota, tecnico, ma soprattutto è stato uno dei più attivi e apprezzati fotoreporter del settore rally a livello nazionale e internazionale, oltre che autore di diversi splendidi libri.

“Ed ora, con qualche adesivo tipo “ciao Francesco, ciao Lele…” ci toglieremo tutti il pensiero dalla testa. Tutto come prima, in questo assurdo gioco che ha sicuramente imboccato una via senza futuro – afferma Biancolli -. Tante volte mi sono espresso apertamente, e tante sono state le lettere da me spedite alle riviste di settore. Stavolta ero nauseato, demoralizzato, ma Tom (Valinotti) mi ha convinto a dire la mia, per quanto può valere una semplice opinione”.

“Chi mi conosce sa che a fine gara chiedo sempre “ ti sei divertito?” e non “come ti sei piazzato?”, e sa che sono sempre stato critico contro questo modo di correre, dove spesso conta solo quanto tempo ci hai messo a fare la “speciale”, indipendentemente dal fatto se chi guida, o chi naviga, o semplicemente chi guarda si è divertito o no. Già, divertirsi… mi sa che se lo son dimenticato in molti cosa voglia dire…”.

“Io a volte sono tra questi, io che di mestiere faccio foto a quella che è la mia unica passione, i rally, o forse erano la mia passione. Probabilmente con queste affermazioni mi do la zappa sui piedi, nel mio interesse dovrei sempre dire che vedere la gara è stato bellissimo, che son passati tutti bene, così magari non rischierei di crearmi inimicizie, ma non ce la faccio, è più forte di me, non riesco più a nascondere il disappunto che spesso provo nel seguire le gare. E purtroppo sono la stragrande maggioranza quelli che come me, avendo seguito i Rally da più di vent’anni, hanno notato un totale snaturamento di questo sport, a tutti i livelli”.

“Nelle gare in pista l’approccio è quello della ricerca del limite assoluto, della velocità pura, della traiettoria millimetrica, dove chi guida appena un po’ “sporco” è additato come un “fermo”, un incapace, ed i tempi danno sempre ragione ai piloti più “puliti”. Ma nei rally no, o perlomeno non era così, le strade non permettevano traiettorie troppo precise, dovevi improvvisare, inventare, adattarti ad ogni situazione, e soprattutto adattarti alle macchine che vuoi per gli assetti meno esasperati, vuoi per i freni non sempre efficaci come si sarebbe voluto, vuoi per le gomme necessariamente adatte a tipologie disomogenee di fondo (spesso misto), vuoi per le vetture che comunque per concezione richiedevano equilibrismi e funambolismi per riuscire ad entrare in curva e, possibilmente, uscirne, magari velocemente. Di un Ragnotti, o di un Vatanen si poteva dire tutto meno che fossero dei “fermi” ma… andateglielo a spiegare che si guida pulito!”.

“Tutto questo si traduceva intanto nel fatto che le prestazioni erano un po’ più livellate: con certe gomme e su certe strade qualche cavallo in più o in meno conta poco; e poi nell’esaltazione dello spettacolo, dai top driver fino agli ultimi che non si trovavano a guidare auto dalle potenzialità enormi ma difficilissime da raggiungere se non esperti, riuscendo così a divertire comunque gli spettatori”.

“Ma si traduceva soprattutto in sicucurezza!! Non era mai successa una strage del genere, nemmeno all’epoca delle famigerate Gruppo B che, per chi non le ha viste all’opera, vi assicuro che erano veramente assurde da veder passare; davano davvero la sensazione continua dell’imprevedibilità delle loro reazioni; spettacolari, si, ma che paura vederle in azione! Ebbene? Ora siamo messi peggio, dal mondiale alle garette della parrocchia: voli paurosi, botte senza senso, e soprattutto morti come mai se ne erano visti”.

“Ma per forza! Tutte le auto in gara, dalle WRC e Super 1600 ufficiali alle ultime N2 ed N1 permettono staccate e velocità di percorrenza in curva che nulla hanno a che vedere con il pilota medio. Lo dimostrano i record delle Speciali rimaste uguali nel tempo, record sbriciolati dalle vetture ultima generazione, nonostante i cavalli a disposizione siano molti meno. Senza dimenticare che pure i professionisti sbagliano, ci mancherebbe. Il fatto è che un conto è arrivare sempre ad ogni staccata con un margine minimo di errore, perché i freni e le gomme ti permettono di frenare in uno spazio ridottissimo, un altro era avvicinarsi alla curva frenando obbligatoriamente prima, “sentendo” cosa succede tra gomma e terreno, col tempo di accorgersi di essere “lunghi” e quindi di cercare di porre rimedio inventando qualcosa, il tutto a velocità minori e quindi con eventuali impatti non necessariamente devastanti come sempre capita ora; idem a centro curva, dove ora se l’auto parte lo fa in maniera improvvisa, e non perché la scivolata, che una volta era all’ordine del giorno per tutto l’arco della curva, tende ad un certo punto ad essere esagerata e quindi correggibile, ma perché la traiettoria pulita e precisa diventa di colpo impossibile da seguire a causa dell’eventuale errore. Negli ultimi anni o non succede niente perché si è sempre riusciti a rimanere in strada “attaccandosi” alle gomme, o se si esce le probabilità di buttare via la scocca sono parecchio alte…”.

“Di fronte a tutto questo la Federazione che fa? Ah, la Federazione!… Un insieme di persone incapaci di capire minimamente quali siano i veri problemi, persone che stanno lì solo perché probabilmente non sono riuscite a diventare Ministro o Sottosegretario, che di Rally ne capiscono poco o nulla, che badano solo a trovare il modo di assicurarsi un lauto stipendio, aumentando a loro piacere i costi senza alcun vantaggio per i loro “sudditi”. A proposito di sicurezza cosa hanno fatto? L’unica “trovata” che sono stati in grado di partorire è stata la limitazione del chilometraggio dei Coppa Italia!”.

“Questi genialoidi, che i licenziati continuano a mantenere, se invece che a capo della CSAI fossero in seno alla Federazione Calcio, probabilmente per risolvere la crisi economica del Foot-Ball ridurrebbero le partite dai canonici 90 minuti a 65/70… anvedi che volpi! E come al solito chiuderanno la stalla quando i buoi sono già scappati. Invece che limitare le velocità ed i rischi obbligheranno a montare, pagandoli profumatamente, i sedili con le “orecchie” laterali come in pista e magari renderanno obbligatori i caschi con ganci e collari tipo Formula 1… tanto pagano sempre gli stessi. Il problema è che ci si ostina a chiamare Rally un qualcosa che è lontano anni luce da quello che è lo spirito di questa specialità, anche per colpa dei piloti stessi. Non tutti per fortuna, ma molti hanno “infighettito” quello che era uno Sport un po’ rude, polveroso, duro dal punto di vista della resistenza fisica e per i mezzi meccanici, corso di notte su strade improbabili, rotte, sporche e miste terra-asfalto, dove dovevi improvvisare ad ogni metro, non necessariamente a velocità folli ma nel quale dovevi esibirti in evoluzioni ed equilibrismi che galvanizzavano anche gli spettatori meno esperti, dove contavano di più la bravura del pilota e la robustezza della vettura che non il numero di cavalli. Ora? Ora no, si corre solo di giorno, se le strade sono un po’ sporche sulla pedana d’arrivo si sentono sequenze interminabili di litanie a critica del percorso e degli organizzatori, “rei” di non aver lavato col Mocio Vileda ogni centimetro di P.S.; e chi viene a vedere assiste sovente a monotone sequenze di passaggi tutti uguali di vetture velocissime (e costosissime) che nella maggior parte dei casi sono talmente incollate al suolo da offrire le stesse emozioni del Circus della Formula 1… del quale si sono copiate solo le cose peggiori, come degli elenchi di mescole per le gomme che praticamente nessuno è ovviamente in grado di utilizzare al meglio, ma fa fighissimo poter dire “ho sbagliato mescola, sennò vedevi…”. Ma per favore…”.

“Ed allora tutti lì a bordo strada a sonnecchiare aspettando solo che il malcapitato di turno tiri la classica “bombarda” per risvegliarli – prosegue Biancolli -. Ma quando lo si capirà che a differenza di quanto molti asseriscono non è pericoloso correre su fondi viscidi quali fango, neve o ghiaia, situazioni nelle quali sei obbligato ad andare più piano e nelle quali “senti” la macchina, trovandoti sempre in condizioni critiche di aderenza, a differenza dei percorsi su asfalto liscio e perfetto (tipica situazione attuale) dove viaggi sempre al limite delle gomme ma nella quale appena capiti sulla tipica ghiaietta da “taglio” schizzi fuori prima ancora di aver capito perché”.

“E’ questione di un errato concetto di base: allo Sprint di Bagnolo 2003 molti piloti non volevano far partire la prova del Montoso a scendere perché aveva nevicato!!! A parte che se hai paura della neve non ti iscrivi ad un Rally che si svolge in montagna a novembre ma vai a correre in pista, o stai a casa, e poi alla resa dei conti la prova, che si è disputata solo al secondo passaggio, ha dimostrato che la ridotta velocità, implicita in una situazione del genere, ed i muri di neve ai lati hanno fatto si che i molti errori compiuti si sono tradotti in innocui testacoda e “musate” nel morbido”.

“Idem al Val Sangone ’93. Si tenga presente che in quest’ultimo caso (al quale io ero iscritto come pilota) era dicembre in Piemonte, non luglio sulla Costa Amalfitana! Quindi quattro chiodati anche fetenti sul furgone d’assistenza non ci stavano male, non si sa mai…”.

“Le motivazioni delle paure? “Ma sai, è che con ‘sti assetti non puoi andare sulla neve…”. Eccolo li! Macchine da rally incapaci di cavarsela in tutte le situazioni, specializzate peggio delle Formula 1 che appena cadono quattro gocce devono essere stravolte per poter essere guidate. Ma che senso ha? E soprattutto quanto costa? Tutti si lamentano dei costi, poi però si preparano auto che hanno bisogno di 3000 tipi di ammortizzatori, molle e pneumatici diversi a seconda se c’è il sole o se è nuvoloso, se piove o se è solo umido, se si corre di sabato oppure di domenica, se il pilota è biondo o bruno… ma non sarebbe più facile, bello, economico e sicuro se ad esempio le gomme fossero obbligatoriamente stradali e limitate a cinque per ogni gara?”.

“Vai lo stesso, se sei capace, anzi se sei bravo il solito “paracarro” coi soldi non può più starti davanti solo perché cambia gomme ogni 2 P.S., e certi assetti superspecializzati non avrebbero più senso in tale situazione, le gomme non li reggerebbero, ed in caso di pioggia, ghiaia o neve non ci si troverebbe più nella *, sperando nell’annullamento della Prova! Qualcuno addirittura se al sabato piove e c’è fango non verifica nemmeno perché non ha la macchina adatta… ma scherziamo! Sono rally, e come tali vanno affrontati; se non piacciono ci sono un sacco di altre specialità: Ad esempio ad Indianapolis aspettano che smetta di piovere, poi asciugano la pista prima di dare il via…”.

“Inoltre certe Speciali non sarebbero nemmeno da prendere in considerazione: medie altissime, con tutti i rischi del caso (ma tanto per aggirare il problema mettono quelle “bellissime” chicane di bidoni o new-jersey…), e percorsi dove basta avere più cavalli di tutti per primeggiare, anche senza essere dei fenomeni”.

“La dimostrazione di tutto ciò sta nel fatto che gli elenchi partenti sono di una monotonia allucinante: Clio, 106, 106, Clio; e perché? Mica che in Renault fanno il 3×2 come al supermercato, o che in Peugeot ti regalino le macchine! E’ solo che le prestazioni sono ormai talmente estremizzate che se non hai il top (e nelle rispettive classi i due modelli lo sono sicuramente) non hai chance, puoi metterci del tuo fin che vuoi, tanto le prenderai comunque rischiando di più e andando di meno, poiché su certe strade e con certi assetti e pneumatici non inventi niente. Ma prova ad andare sullo sporco, stretto, magari in una discesa guidatissima con la “pauta” qua e là: o sei buono, o uno col piede te le suona anche con una A-112 ben fatta…”.

“Mi spiace esprimermi in questi termini, ma chi non nasconde la testa sotto la sabbia sa che è brutto da dire ma è così, e non sempre per colpa dei piloti, non mi si fraintenda, lo so che ormai ci si è dovuti adattare. Ma ho corso (poco e con scarsi risultati…) anch’io, ed ho anche fatto il meccanico, e credo di sapere cosa dico”.

“Adesso dopo l’ennesima tragedia capitata in Val d’Aosta cercheranno di correre ai ripari, ma so già che lo faranno nella maniera sbagliata, senza affrontare i problemi alla radice, ma mettendo le classiche “pezze” in un mondo nel quale invece bisognerebbe stravolgere il concetto di gara come la si intende adesso, facendo non uno ma più passi indietro, per tornare a Rally che non sono “Superturismo su Strada”, o “Velocità in Salita anche in pianura e discesa”, e non preoccupandosi solo di stabilire che un sedile dopo 5 anni lo devi buttare anche se non lo hai mai usato, o cercando di far stare il pubblico sempre più distante piazzandolo magari dove in realtà è ugualmente pericoloso. Non siamo negli autodromi, dove aumenti le vie di fuga in proporzione all’aumento delle prestazioni delle vetture; i pali, gli alberi e, tanto per fare un esempio, i muri dei garage valdostani ci sono e ci saranno sempre, ma le auto ci vanno contro non più frequentemente di prima ma soltanto molto più velocemente”.

“Speriamo che Pozzi, Curto, Montanelli, Zonca, Roggia e gli altri che ci hanno lasciato, che comunque, non dimentichiamolo, facevano quello che gli piaceva e nessuno li obbligava, non stiano dove sono ora ad aspettare che qualcun altro li raggiunga prima che si faccia qualcosa. E’ già molto tardi e ho paura che i Rally abbiano ormai vita breve, se continuiamo con quest’andazzo. I Media non aspettano altro che tragedie di questo genere per demonizzarci, le autorità per negare i permessi, e gli organizzatori rischiano la galera ogni volta che mettono a calendario una manifestazione, idem i commissari. Non mi pare logico questo suicidio da parte di un ambiente potenzialmente bellissimo ma rovinato dalla cocciutaggine e dall’immobilismo. Non importa che quello che dico piaccia o no. Tanto così non va, ed il rischio è che un bel giorno diremo: “Ti ricordi quando c’erano i rally?” e sarebbe peggio per tutti, sia per chi la pensa come me, sia per quelli che invece reputano che le gare così come sono adesso sono belle, divertenti e quant’altro. Non picchiano forte solo le Super 1600, rendiamocene conto. E non possiamo sempre contare sulla buona sorte…”.