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Navigatori rally: non un cognome a caso gettato lì

Julien Ingrassia

È appena terminato il Rally di Montecarlo che è una delle grandi classiche dell’intera storia motoristica. Seguita e raccontata oggi con meno parole, meno intensità rispetto al passato. Una corsa nata nel 1911, addirittura, la prima sfida dell’anno iridato dal 1973. Neve e ghiaccio, il Col de Turini come uno stadio notturno famosissimo.

L’edizione 2021 è stata vinta – per l’ottava volta – da Sébastien Ogier, un fenomeno della specialità, sette titoli conquistati negli ultimi otto anni. Ogier, francese di Gap, nato il 17 dicembre 1983, guidava una Toyota Yaris. Bene. Bravo. Alè. Il fatto è che con lui, in macchina, c’era anche un altro. Con il quale, anzi, grazie al quale, la vittoria è stata costruita, curva dopo curva, provando, verificando, compilando note decisive per permettere a Ogier di aggredire ogni prova speciale. L’altro, nello specifico, si chiama Julien Ingrassia, è francese pure lui, di Aix en Provence, nato il 26 novembre 1979, citato di sfuggita o per niente, secondo destino eroico e mai abbastanza celebrato.

Sto parlando dei navigatori. Ingrassia come Daniel Elena che viaggia al fianco dell’altro pluricampione del rally moderni, Sébastien Loeb. Monegasco, classe 1972. Loro due prendo ad esempio per dire di questi fenomeni oscuri che si fanno un gran mazzo, silenziosamente, che saltano in macchina con una sicurezza misteriosa, che scandiscono indicazioni ai loro partner, animati da una forza misteriosa, da un coraggio smisurato. La testa chinata sulla tabella, gli occhi che decifrano ogni frazione di strada, la voce per indicare la più appropriata interpretazione viaggiando al limite, qualche volta oltre il limite.

Come fanno? Non si sa.

Ma certo, perché un conto è rischiare guidando, un altro è trovarsi lì, nello stesso abitacolo, con un pazzo scatenato padrone dei comandi. Pazzi scatenati visti da qui, s’intende, dalla parte di chi certe cose non le sa fare, non ce la farebbe mai e che, quando le vede fare, lì a trenta centimetri, chiuso dentro una macchina lanciata, si spaventa di brutto.

Loro, i navigatori, sono i nostri migliori, autentici rappresentanti. In balia, per certi versi, coinvolti in una identica avventura con il pilota, pronti a rischiare senza nemmeno sbagliare. Il loro coraggio è mostruoso, poche storie. Così abominevole da risultare incomprensibile.

Mi è capitato di sedere al fianco di un pilota. Ho percorso qualche chilometro in Svezia al fianco di Juha Kankkunen, Lancia Delta S4, e ho pensato seriamente di morire. Stessa cosa con Ari Vatanen nel deserto, con Jacky Ickx e più tardi con Tony Cairoli a Monza, con Michael Schumacher, con Felipe Massa. Per non parlare di un viaggio Silverstone-Heatrow con Vittorio Brambilla tanti anni fa. Abbastanza per non ripetere esperienze del genere mai più nella vita. “Grazie, vado a piedi”. Loro, i piloti, sanno bene ciò che fanno.

Il problema, quando guidano un’auto con te dentro, è far prevalere la fiducia alla fifa, cosa per la quale non siamo affatto pronti.

Per questo, dei navigatori da rally, ho una opinione altissima. Sono davvero dei giganti. E sarebbe ora di trattarli adeguatamente, non soltanto buttando lì un cognome, come se fosse un orpello, una questione secondaria. “Secondi”, certo, per ruolo. Eppure primi, senza rivali, in una storia fatta anche dai loro sforzi, dal loro cuore e spesso dal loro sacrificio.

Fonte: Giorgio Teruzzi, Redbull.com