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Manuale di sopravvivenza ai rally a porte chiuse

Andrea Crugnola vince tra gli applausi del pubblico

Continua a regnare sovrana la confusione sul concetto di “rally a porte chiuse” e “pubblico in prova sì” o “pubblico in prova no”. L’argomento, inevitabilmente, è destinato a suscitare un vespaio di polemiche perché, purtroppo, come spesso avviene, il concetto di “porte chiuse”, laddove non vi è una porta, è soggetto a interpretazioni personali (che a volte si gonfiano in base al senso di autostima o ignoranza che possiede chi le valuta).

Chi interpreta le direttive al posto di applicarle? Le interpretazioni le fanno alcuni prefetti, alcuni politici, alcuni organizzatori (che in realtà sono gli unici che non temono il pubblico insieme alle squadre), diversi esecutori della federazione. Insomma, tutti coloro i quali decidono di contestare una norma scritta chiaramente solo perché, in realtà, preferirebbero fare in un modo (per eccesso di prudenza) piuttosto che in un altro (per troppo ardire). I riferimenti sono puramente causali, ma servono a far riprendere la strada al lettore confuso.

Abbiamo ricevuto decine di mail in queste settimane. In tanti ci avete posto quesiti giusti e interessanti, a cui abbiamo cercato di dare risposta esaustiva andando a leggere DPCM, protocolli Aci e leggi dello Stato inerenti alla libera circolazione individuale sulle strade italiane. Fornendo risposta a tutte le domande più comuni che avete fatto.

Cosa significa rally a porte chiuse?

Cominciamo a fare chiarezza partendo dall’inizio. Cosa significa rally a porte chiuse? Rally a porte chiuse è, per lo più, uno slogan. Significa che alcune aree delle manifestazioni automobilistiche sportive non saranno accessibili al pubblico. Quali? Ad esempio, il parco assistenza o l’ufficio stampa e la segreteria, che sono di solito il cuore e i polmoni di un rally. Il posto in cui gli appassionati incontrano piloti, amici meccanici e acquisiscono informazioni.

Può essere vietato l’accesso ad una prova speciale? No, chi lo vieta paradossalmente potrebbe essere denunciato per aver limitato la libertà di un individuo. Cosa succede, allora, se vi recate in PS a Roma o a Lucca o in un altro rally? Nulla. Se siete soli, oppure in famiglia, o socialmente distanziati e con mascherina, per legge, non può succedere nulla. Invece, se una comitiva va vedere il rally, in questo caso crea un assembramento, e si rischiano circa 500 euro di verbale, che diventa anche difficile contestare. E questo a prescindere dalla scusa che si voglia inventare: funghi, funghetti, fiori rari, farfalle, eccetera.

Può un organizzatore, un ufficiale di gara o un collaboratore di Aci Sport vietare l’accesso alle prove speciali? No, rischia la denuncia come sopra. Le prove speciali non esistono. Sono un tratto di strada pubblica (solo momentaneamente chiusa al traffico veicolare) sempre regolamentata dal codice della strada e dalla stesso DPCM in vigore, che prevede la libera circolazione individuale a condizione di non creare situazioni di pericolo per la salute in un momento in cui è in corso un’epidemia. Con un po’ di intelligenza, è facile capire che su una prova di 20 chilometri c’è posto per tutti.

Come comportarsi in un rally ora?

Cosa si può fare? Anzi, si può fare qualcosa? Certo. La soluzione migliore sarebbe che Aci Sport ritoccasse i protocolli chiarendo che, come previsto peraltro dalle leggi statutarie, in prova speciale si può liberamente stare, ben distanziati e senza mai creare assembramenti, e ovviamente con la mascherina, che nelle gare su terra si rivelerà anche comoda, e con il rischio di beccarsi una multa in caso di violazioni, supponendo che ci siano i controlli.

In ogni caso, ci si può avventurare a vedere un rally senza troppi patemi e preoccupazioni, ma con la stessa prudenza che si usa nella vita quotidiana, sapendo che questo nemico chiamato Covid-19 è sempre presente e che tutelare la salute dei nostri cari è prima di tutto un dovere morale. Ma questa è un’altra materia diversa dallo sport: si chiama buon senso. Il resto è terrorismo mediatico.