Le tre vite della Dakar e il rapporto con il deserto
È dal 1979 che la Dakar Rally rappresenta un evento speciale per tutti. La Dakar Rally è indiscutibilmente il rally raid più duro e difficile del mondo. La creatura di Thierry Sabin, il creatore e fondatore della leggendaria Parigi-Dakar, era quello di creare un ponte tra l’Europa e l’Africa. Parigi-Dakar in quanto nelle prime edizioni (dal 1979 al 1991 e ancora nel 1993, 1994, 1998, 2000 e 2001) il percorso iniziava appunto dalla capitale francese per terminare in quella del Senegal. In seguito, mentre l’arrivo si è mantenuto quasi sempre a Dakar, la sede di partenza ha subito diversi spostamenti dal 1995.
La gara, dopo un prologo in Europa, attraversava diversi paesi africani e il deserto del Sahara fino ad arrivare a Dakar. Dopo l’annullamento dell’edizione 2008, proprio quando la gara era pronta a partire, per le serie minacce di attentati terroristici, dal 2009 la corsa ha spostato il suo percorso in Sudamerica, mantenendo comunque la denominazione di Dakar. Era un sognatore Thierry Sabin. Un visionario. Un imprenditore che nasceva pilota. Amante dell’Africa, del Senegal e della Dakar, Sabin, nel pieno dell’ondata di migrazione di africani e senegalesi che arrivava in Francia, volle creare un collegamento sportivo con l’Africa”.
In estrema sintesi fu così che nacque la Parigi-Dakar di Thierry Sabin, due anni dopo che da ottimo pilota si era perso nel deserto del Tenere durante la Londra-Sahara-Monaco, passato alla storia per essere la gara antesignana della Dakar, il primo rally che riuscì ad attraversare il deserto. Le prime edizioni della Parigi-Dakar furono anche le più belle e romantiche: con bivacchi al termine di ogni segmento, che rimandano la mente ad immagini di piloti davanti al fuoco, con meccanici al lavoro intorno a macchine e moto.
Il rapporto con il deserto… del Sahara
Dal 1979, la Parigi-Dakar ha toccato praticamente tutti i paesi dell’Africa nord-occidentale e parecchi paesi dell’Africa centrale e meridionale nel corso dell’edizione del 1992, quando la corsa arrivò addirittura a Città del Capo, in Sudafrica. L’edizione del 1982 fu caratterizzata dalla costosissima missione internazionale di ricerca e salvataggio di Mark Thatcher, figlio dell’allora Primo Ministro britannico Margaret smarritosi nel Sahara mentre partecipava alla competizione con la sua Peugeot 504. La notizia ebbe immediata e vastissima eco nei mass media di tutto il mondo. Sua madre intervenne personalmente e, alla fine, il 14 gennaio 1982, un Hercules C-130 dell’aviazione militare algerina lo ritrovò.
L’epopea della Dakar è legata al deserto del Sahara. Auto, moto e poi anche camion, non più solo usati come mezzi d’assistenza. Dulcis in fundo i quad. È lì che i più grandi campioni hanno deciso di mettere in gioco la propria vita. Alla Dakar. Purtroppo gli incidenti mortali sono stata la costante di ogni singola edizione: tanti, tantissimi incidenti che rendono la Dakar la corsa più mitica ma anche più pericolosa e imprevedibile.
Il più grande dramma che segnò la storia della Dakar fu, paradossalmente, la morte di Thierry Sabin, che cadde il 14 gennaio del 1986 nel deserto del Mali con il suo elicottero. In quello schianto morirono insieme a Sabin altre quattro persone. Le ceneri del creatore della Dakar vennero disperse al Lost Tree, l’albero del deserto del Niger che da allora si chiama Arbre Thierry Sabin.
La seconda vita: la Dakar va in Sud America
Le gravi tensioni tra i paesi africani, spesso implicati in sanguinosi scontri, spengono definitivamente il mito della Dakar nel 2008 quando la corsa viene cancellata dopo che quattro turisti francesi vengono uccisi per rappresaglia in un attentato terroristico. Il raid africano non esiste più: la corsa si trasferisce sulle piste del Sud America, con partenza da Buenos Aires, giro di boa a Valparaíso e ritorno; curiosamente, la gara delle auto è stata vinta per la prima volta da un africano, il sudafricano Giniel de Villiers. In tale anno, debutta anche la categoria dei quad.
Una gara completamente diversa, molto più organizzata dove gli investimenti delle grandi case automobilistiche fanno la differenza. Il rally raid viene dominato non solo dai grandi piloti, fuoriclasse come Auriol, Peterhansel, Neveu, Despres, Sainz, Roma piuttosto che gli italiani Orioli e Meoni. Ma anche da progetti nuovi: prototipi e bolidi di nuovissima generazione.
L’edizione 2010 (1-16 gennaio) è stata disputata nello scenario sudamericano come nell’anno precedente: delle quattordici tappe sette erano sul territorio argentino e sette su quello cileno con partenza e arrivo a Buenos Aires e giro di boa ad Antofagasta in Cile. I vincitori della corsa sono gli spagnoli Carlos Sainz e Lucas Cruz nella categoria automobili, il francese Cyril Despres nella categoria moto, l’equipaggio russo Čagin, Savostin e Nikolaev nella categoria camion e l’argentino Marcos Patronelli (dietro di lui il fratello Alejandro, che vincerà l’anno dopo) nella categoria quad.
A partire dall’edizione 2012 non si ha più un percorso ad anello, ma un tracciato che va da costa a costa del sud America. Dal 2017 debutta la quinta categoria, quella degli SxS. L’edizione 2019 è stata la prima a svolgersi in un’unica nazione: si svolse nel solo Perù. In più fu anche l’ultima a svolgersi in America Latina.
La terza vita: dal Sud America al Medio Oriente
Dallo scorso anno la Dakar si è trasferita in Arabia: motivi di business, con nuovi capitali, ma anche agonistici con il deserto che torna a essere la vera casa del rally raid. A oltre quarant’anni dalla sua genesi il rally affronta una nuova trasformazione: con prototipi, buggy, auto ibride. Restando con il suo nome legato alle sue origini, al Sahara e all’Africa. Che restano nell’imprinting del rally raid più famoso del mondo. Ma forse ormai solo in quello.