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Hyundai: Noh, Adamo, Penasse, Nandan… l’incubo Citroen

Hyundai i20 Rally1

Il giorno dopo le dimissioni di Andrea Adamo, Hyundai Motorsport si lecca le ferite e si trova ad affrontare tutte le sue paure. Scott Noh appare il personaggio meno adatto a portare avanti le operazioni che negli ultimi sei anni sono state affidate all’ingegnere nato a Cuneo e laureato al politecnico di Torino.

Vi starete domandando: in che senso Scott Noh non appare persona adeguata a guidare Hyundai Motorsport? E qualcuno, giustamente, penserà: avessi fatto tu che scrivi un decimo delle cose che ha fatto Scott Noh… Tutto giusto e tutto sbagliato. Guardiamo i fatti e la storia, che ci dicono una sola cosa: non basta avere il patentino per guidare una nave che aspira ad essere la più veloce del mondo all’apertura della nuova era delle Regine dei Rally. Ci va esperienza e competenza specifica. Tutte doti che, indubbiamente, l’ingegnere Adamo ha.

Noh apparirebbe inadeguato a guidare una squadra con soli galli nello stesso pollaio – per quanto romanticamente apprezzabile sia il suo sforzo – in un momento normale. Ma la sua figura sembra ancor più inadeguata in un momento in cui manca poco più di un mese al debutto nel Mondiale con una vettura, la Rally1, assolutamente insensata, in forte ritardo nello sviluppo finale e soprattutto con la “vettura pilota” (la più aggiornata per le omologazioni) letteralmente aperta come una scatoletta di tonno.

Ecco, in questo contesto, il nuovo capitano pro-tempore non solo si trova a dover affrontare una tempesta pazzesca (ce l’ha davanti) dal punto di vista sportivo, tecnico e tecnologico, ma deve pure capire e rodare una squadra di professionisti che negli ultimi sei anni rispondevano ad un altro capitano. Il minimo errore anche nella più insignificante virgola può portare Hyundai alla stessa condizione in cui si trovò Citroen con la C3 WRC Plus. Vettura nata male, risultati pessimi, piloti in fuga, squadra ritirata dal WRC in corso d’opera. Meglio pagare le penali che continuare a fare pessime figure.

Hyundai ha bisogno di un capitano che abbia esperienza nelle tempeste e che conosca le dinamiche aziendali, come può Alain Penasse o Michele Nandan. Abbiamo letto di ipotesi che indicano Petter Solberg come nuovo capitano, ora che il “vecchio” capitano ha raggiunto il porto e va via con i suoi segreti professionali. Abbiamo qualche dubbio in proposito. Solberg avrebbe in squadra il figlio Oliver. Con quale obiettiva lucidità darebbe un ordine di scuderia? E come reagirebbe l’opinione pubblica dinanzi un ordine di scuderia che agevola il figlio? E come reagirebbe il figlio davanti ad un ordine che potrebbe penalizzarlo? Certo, la storia ci racconta che Cesare Fiorio gestì anche il figlio in squadra. Certo, ma Fiorio era Fiorio. E l’ultimo manager con caratura pura che noi vediamo è stato Claudio Berro, senza nulla togliere ad Adamo, a Latvala e a Millener.

Vero anche che in passato era girata la notizia, mai confermata, che voleva Solberg al lavoro per mettere su un team iridato con un Costruttore. Ma era il 2018. Oggi siamo in piena emergenza. Non c’è neppure il tempo di fare un passaggio di testimone. L’auspicio, appunto, è che Hyundai non faccia la fine di Citroen e che porti a termine almeno in modo dignitoso questa nuova sfida. I tempi della Accent, per dirla in maniera brutale, vorremmo dimenticarli, se possibile visto che per realizzare queste nuove vetture si spende di più di prima già ora, prima del via. Figurarsi dopo quando il “gioco dell’oca”, pardon il WRC 2022, sarà partito e proprio mentre gli equilibri FIA vanno modificandosi…

Cambiano gli equilibri in FIA

L’8 dicembre, Giorgio Terruzzi pubblica sul Corriere della Sera un’anticipazione clamorosa. Jean Todt potrebbe tornare alla Ferrari nel 2022. Il suo mandato come presidente della Federazione Internazionale scade tra pochi giorni (17 dicembre) e in vista di questo traguardo, Todt, sempre abile nel programmare il proprio futuro, ha manifestato a John Elkann un’idea inattesa: rientrare a Maranello dove lavorò dal 1993 al 2009 vincendo 14 titoli mondiali. I due ne hanno parlato più volte negli ultimi mesi dopo un primo contatto avvenuto durante la 24 Ore di Le Mans dello scorso agosto, aperta proprio da Elkann, ospite d’onore della manifestazione.

L’ipotesi di Terruzzi è che Todt svolga un ruolo di superconsulente in grado di incrementare il peso politico-sportivo della Scuderia, alleggerendo l’impegno del presidente e supportando in questo senso anche Mattia Binotto, nei confronti del quale ha mantenuto un ottimo rapporto. Dunque, una posizione simile a quella che aveva Niki Lauda in Mercedes (come presidente esecutivo), evitando gli oneri che spettano sia ad un amministratore delegato, sia a un team principal, incarichi che Todt ha ricoperto in passato.

Manca ancora l’assenso di Elkann che pure sembra affascinato da una ipotesi che circola da qualche tempo anche tra i più stretti collaboratori del numero uno Fia, pronto a lasciare in un clima assai teso, viste le critiche che circondano i suoi uomini da pista, a cominciare da Michael Masi, contestatissimo direttore di gara in questo finale di stagione. Sono due i candidati alla successione, dopo 12 anni di presidenza Todt.

Il fedele Graham Stoker, britannico, e Mohammed Ben Sulayem, Emirati Arabi, dato in vantaggio nelle ultime ore proprio in quanto portatore di una discontinuità con un modello che ha fatto il suo tempo, incapace di ritrovare autorevolezza dopo la scomparsa, nel 2019, di Charlie Whiting, capo del dipartimento tecnico e direttore di gara di lungo corso. Whiting, che con Bernie Ecclestone, suo mentore e sponsor, e Jean Todt, aveva costruito un’asse decisionale inattaccabile ma non replicabile con l’avvento di Liberty Media.

Todt in questi ultimi anni è apparso sempre più distante dalle beghe croniche della F1, si è dedicato al progetto di incremento della sicurezza stradale Road Safety, pur mantenendo una rete di relazioni ad alto livello che gli consente di avere una visione accurata di ogni meccanismo del motorsport. A proposito del proprio futuro ha rilasciato dichiarazioni votate al fatalismo ed è realistico pensare che alle soglie del compleanno numero 76 (è nato il 24 febbraio 1946) voglia chiudere la sua lunga avventura sportiva in quella che ancora considera la sua vera casa, la Ferrari. Dove peraltro opera in qualità di manager di Leclerc suo figlio Nicolas.

Con l’intenzione di muoversi sui tavoli dove si decide presente e futuro delle corse — dai regolamenti tecnici alla distribuzione dei denari — con una esperienza unica e una disinvoltura diversa da quella di John Elkann che ha costruito la propria esperienza manageriale su altri fronti. Senza contare l’amicizia con Stefano Domenicali, suo successore al timone della Scuderia, ora a capo di F1, con il quale potrebbe continuare a confrontarsi non più come tutore degli interessi federali ma in divisa, pardon, in cravatta, rossa. Insomma, l’idea di tornare in sella al Cavallino è comprensibile e persino plausibile. Vedremo se si tratterà di una reciproca convenienza, anche perché il nome Todt è pesante e la personalità di monsieur Jean è notoriamente ingombrante.

Ma è inevitabile chiedersi: chi dopo Jean Todt che, se da un lato ha ravvivato il WRC, dall’altro ha definitivamente consegnato in mano a Costruttori la serie iridata regina delle corse su strada? Sarà importante trovare un presidente di estrazione rallystica, ma non legato mani e piedi ai Costruttori di automobili, così da poter ricreare quanto fino ad ora penalizzato: la formula dell’auto preparazione, la formula di un approccio più goliardico e meno professionale in uno sport in cui i professionisti sono solo nel Mondiale, in contrazione e in crisi di ingaggi.

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Copertina dicembre 2021