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Rally e incidenti mortali: perché è importante parlarne

Punto dell'incidente Rally Condroz

Dopo la conclusione delle indagini sull’incidente del Condroz Rally bisogna fare delle riflessioni. La prima riflessione è che, pur sapendo che “motorsport is dangerous”, quando vediamo un gruppo di stupidi che si mette in traiettoria, anche noi appassionati spesso non facciamo nulla a parte limitarci a dire “levateli da lì”. La seconda riflessione è sulla necessità di sensibilizzare gli spettatori sui rischi che si corrono andando ad occupare aree interdette al pubblico. La terza è sulla comunicazione: chi fa come gli struzzi e mette la testa sotto la sabbia ha abdicato dallo spirito del giornalismo. In genere chi opta per queste scelte sono persone che fanno altri lavori e per opportunismo e interessi personali si nutrono anche di comunicazione.

L’indagine della polizia belga sull’incidente avvenuto al Condroz Rally si è conclusa e la ricostruzione dell’incidente tramite testimoni oculari, video, foto e rilievi ci lancia un allarme e una sfida per il futuro. L’allarme è quello causato da gruppi di balordi esaltati che, pensando di godersi la gara meglio degli altri o di fare foto e video sensazionali con i telefonini, si vanno a posizionare in traiettoria, rischiando non solo di rovinare la loro vita (di cui sono padroni) ma di rovinare la vita all’equipaggio (che se li deve tenere sulla coscienza) e agli organizzatori che spesso subiscono un’indagine e un processo. Ad esempio, in Italia gli organizzatori e gli ufficiali di gara (per via della responsabilità oggettiva dei fatti, una sorta di caccia alle streghe con lo scaricabarile) sono ritenuti responsabili di tutto.

Ma che cos’è accaduto, quindi, in Belgio al Condroz Rally? Sostanzialmente, il punto in cui è avvenuto il dramma era, per oltre 300 metri, transennato di nastri di divieto spettatori, fino alla postazione numero 16. L’inizio della prova speciale in cui succede tutto è previsto alle 15:11, dopo che l’auto del responsabile della sicurezza, Alain Penasse, passata per un controllo finale, non nota nulla di anomalo dando il via libera alla competizione sul tratto interessato dalla PS. Penasse ricorda di aver verificato anche la zona in cui è successo l’incidente e sostiene che, al suo passaggio, era sgombra…

Il punto in cui è successa la tragedia era stata occupata per poco tempo già al mattino da alcuni spettatori (difficile stabilire se fossero gli stessi oppure altri) durante il primo passaggio delle vetture da rally previsto su quel tratto cronometrato. Questo gruppo improvvidi, però, aveva accettato di spostarsi come raccomandato dai commissari di percorso (sembrerà strano, ma c’è anche qualcuno che ogni li ascolta gli ufficiali di gara per il bene proprio e per il bene dei rally).

Durante la ripetizione della PS, però, mentre le prime auto in gara stavano passando, inizia a formarsi gradualmente un gruppo di balordi in traiettoria. Il commissario vede ed è molto preoccupato, al punto da lasciare più volte la postazione 16 per sgomberarle la zona interdetta al pubblico, ma i suoi tentativi sono vani e non sortiscono alcun effetto su questi ignoranti che da lì a breve verranno travolti dall’auto.

Sono cinque gli interventi del commissario di percorso per sgomberare l’area, l’ultimo segnato alle 15:26, quando in preda alla disperazione perché non riesce a farsi ascoltare chiama il capo posto per chiedere l’intervento della polizia. Purtroppo, esattamente tre minuti dopo succede l’irreparabile. Sono le 15:29 quando accade la tragedia di cui abbiamo dato notizia nell’immediato in un altro articolo.

Ricostruzione incidente Condroz Rally 2022
Ricostruzione incidente Condroz Rally 2022

Quanto accaduto in Belgio dovrebbe indurci a riflettere tutti su un po’ di cose. Dico dovrebbe perché so anche che non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire e non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. In pratica, non c’è peggiore persona di colui o colei che antepone i propri e spesso stupidi e futili interessi personali a quelli della comunità, dello sport e della festa per una comunità, quella degli Appassionati di rally. Sì, quelli con la A maiuscola, che rispettano le regole. Un po’ la stessa cosa che succede con le ricognizioni abusive.

La prima riflessione è che, pur sapendo che “motorsport is dangerous”, quando vediamo un gruppo di stupidi che si mette in traiettoria, anche noi appassionati spesso non facciamo nulla a parte limitarci a dire “levateli da lì”. Eppure, basterebbe prendere un cellulare e chiamare il numero di pronto intervento, il famoso 112, se dopo aver segnalato al commissario di turno il problema non otteniamo la sospensione (quantomeno momentanea) della prova. C’è chi dice: ma così non partirebbe neppure una PS in Italia. Non è vero, specialmente se si agisce per tempo, in maniera preventiva, quindi prima che la prova parta o prima che la disgrazia accada.

E che sarà mai una prova sospesa (meglio che poi il rally l’anno dopo non venga più organizzato?)… Ma se si è preoccupati da questo aspetto, l’unica soluzione è nota e la ripetiamo ormai da tempo: meno rally (che sono davvero troppi e come tutti gli eccessi iniziano a diventare un fastidio per molti) e più chilometri così da sopperire ad eventuali annullamenti e così da eliminare alcuni organizzatori molto poco capaci e troppo proiettati verso il guadagno derivato dal risparmio sulla sicurezza del pubblico. Ma come detto prima, anche in questo caso non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire e non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

La seconda riflessione è sulla necessità di sensibilizzare gli spettatori sui rischi che si corrono andando ad occupare aree interdette al pubblico, magari in traiettoria, durante una corsa su strada. E questo indipendentemente dal fatto che siano rally, cronoscalate, slalom o formula challenge. Forse bisognerebbe dare al capo prova il potere di sospendere la PS, essendo che questa figura è sul posto e può valutare personalmente la gravità della situazione.

La terza riflessione è sul ruolo della comunicazione, dei giornali e dei giornalisti in questi frangenti. Se si è blogger si è liberi di fare come meglio si crede, quindi anche di continuare a brindare a pranzo con i propri amici mentre qualcuno sta morendo. Se i blog sono quasi del tutto scomparsi è proprio perché è noto che molti proprietari di diari elettronici venivano “comprati” con pochi spiccioli per sponsorizzare ciofeche. Bruciati i blogger, le Case ora inseguono gli influencer, ad esempio. Quelli che predicano la vita green, che sono anche contro i rally e viaggiano con il jet privato.

Il giornale non è un blog. E i giornalisti non sono dei blogger. Per giornali e giornalisti esiste il dovere di pubblicazione per trasparenza con il lettore, che è previsto dalla legge istitutiva dell’OdG, oltre che dalla Carta dei Diritti e dei Doveri del Giornalista. Quindi, non potendo scegliere cosa fare non resta che rimboccarsi le maniche e dare la notizia. Non è una scelta editoriale, è un dovere deontologico. Non farlo è una violazione grave, anche da un punto di vista morale.

Facciamo un esempio che aiuta a capire bene la questione, visto che in realtà alcuni cronisti hanno abdicato dallo spirito del giornalismo e spesso ci ricamano sopra nella speranza di fomentare antipatie, indirizzare like e soprattutto celare la propria ignoranza e incompetenza nello scrivere e fare ricerche su determinati contesti extra Google Translate: avete presente cosa accadrebbe in un mondo senza obblighi (doveri) in cui ogni architetto potrebbe lecitamente decidere cosa progettare bene e cosa no? E di conseguenza un mondo in cui ogni avvocato potrebbe scegliere chi difendere bene e chi no, ogni ingegnere potrebbe decidere quale palazzo o quale macchina o quale aereo costruire bene oppure no, fino ai ristoratori che potrebbero decidere a chi somministrare cibi scaduti oppure no. Per fare fronte a questo esistono le leggi e i codici deontologici delle professioni.

Il codice deontologico del giornalismo prevede che non si possano nascondere le notizie e che neppure un direttore di testata possa vietare la pubblicazione di una notizia alla propria redazione. Le notizie sono notizie e vanno date tutte, piacevoli e spiacevoli, purché siano notizie. Si può scegliere liberamente (linea editoriale) come trattarle e che spazio dargli e a che ora farle uscire. Ecco perché, ad esempio, i maggiori TG sono monitorati sugli spazi (minuti) che danno a ciascun politico (par condicio). Ed ecco perché i giornali sono registrati in Tribunale, hanno un responsabile e vengono usati dalle Prefetture per dirimere dubbi e questioni o dai magistrati per arricchire le proprie indagini e così via.

Il criterio secondo il quale la notizia non può essere censurata soprattutto dal giornalista, che invece deve difenderla, si applica a qualsivoglia contesto dell’informazione. Chi fa come gli struzzi e mette la testa sotto la sabbia ha, appunto, abdicato dallo spirito del giornalismo. E in genere chi opta per queste scelte sono persone che fanno un altro lavoro e per passione, comodità, opportunità e interessi personali si nutrono anche di comunicazione.

Un plauso, quindi, a tutti quei colleghi specializzati che hanno trattato l’incidente del Condroz Rally o del Rally del Lazio con il giusto equilibrio e ricostruendo l’accaduto in maniera comprensibile a tutti. Non solo hanno dimostrato di saper fare con coscienza il proprio lavoro, ma hanno dato l’opportunità a chi dovrà prendere decisioni in merito di capire realmente cosa è accaduto, perché altrimenti l’unico materiale disponibile sarebbe quello delle testate generaliste, che troppo spesso si limita a mettere ingiustamente il focus sul rally e non sul problema scatenante, che invece è la stupidità umana.

Succede la stessa cosa nel calcio con la partita e gli scontri tra tifoserie. Sul giornale si parla sia della partita e sia degli scontri (vi basterà leggere Gazzetta dello Sport, Il Corriere dello Sport o qualsiasi edizione sportiva di un quotidiano). Ed è giusto così, perché se le testate specializzate diventassero poco credibili – come poco credibile può essere un giornale o un giornalista che ha paura di trattare un argomento delicato – allora non potrebbero intervenire quando bisogna farlo su determinate istituzioni in determinati contesti.

Un esempio rallystico e pratico su tutti. Quando morirono Frank Pozzi e Lele Curto passai giornate in Procura. Il magistrato che indagava mi parlava ripetutamente di impatto avvenuto a 125 km/k. Conoscendo il punto in cui c’era stata l’incidente avevo seri dubbi che la Punto avesse sbattuto a 125 km/h. L’auto di Frank e Lele aveva bucato una costruzione come un missile. Chiesi al magistrato dove aveva visto i 125 km/h o come li aveva dedotti e mi disse che si vedeva tramite la camera car il tachimetro della vettura fisso ai 125 km/h. Il tachimetro di un’auto da rally come la Punto Super 1600 non esiste, feci notare al magistrato. Quindi, lui avvio dal suo portatile il terribile video e io ebbi modo di spiegargli che quei 125 erano i 12.5 amper della batteria e che la velocità di impatto era superiore ai 160 km/h.

Il magistrato capì che ero autorevole e parlavo con cognizione di causa e che gli stavo fornendo gli elementi per non commettere un errore di valutazione e abbandonò la pista iniziale della presunta debolezza strutturale dell’auto, capendo che si era trattato di un incidente di gara vero e proprio e che con uno schianto frontale a quella velocità nulla si sarebbe potuto fare per evitare il decesso dell’equipaggio.

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