I rally tagliano con il passato, ma il futuro?
Non fosse per la Racing Lions – che comunque è nata solo una ventina d’anni fa – i rally italiani avrebbero tagliato tutti i ponti con il loro passato più glorioso. Da quando la figura del preparatore è stata soppiantata da quella dell’assemblatore/noleggiatore, i team al vertice del Tricolore appaiono e scompaiono rapidamente. Quest’anno si congeda SA Motorsport Italia che rappresentava la Skoda, e passa la mano la Vieffe.
I dati di fatto dicono che a schierare le R5 con obiettivo lo scudetto nel CIR ci sono ormai solo nomi sconosciuti o quasi. A parte Racing Lions (ma ora con la divisa Citroen) non c’è più traccia dei team protagonisti negli scorsi anni. La HK (Crugnola) è apparsa in pratica la scorsa stagione, Metior (Breen) ha un anno di vita, Loran (Basso) poco di più. Ravanando qualche legame con il passato lo si trova, ma il tourbillon di nomi e sigle tende a cancellarli.
Certo c’è anche chi ha fatto il contrario, come la Tamauto (Albertini) che perpetra orgogliosamente un nome ‘storico’ legato agli Zonca, ma di fatto Luca ha solo la parentela genetica con l’irresistibile e funambolico fondatore Peppino, ‘maestro’ di Porsche e Lancia e con legame di sangue con la famiglia Angiolini. Cioè quella del mitico Jolly Club – quello dei Cavallari, Biasion, Cunico, Cerrato, Sainz, Auriol – di cui ogni tanto rispunta qualche nostalgica e spesso velleitaria riproposizione. Solo passato per nomi celebri come Grifone, Art, ProMotorSport, Nocentini e così via.
Addirittura è già rallysticamente un ricordo la BRC, si prepara a diventarlo a livello Cir la stessa squadra degli Scandola. E in fondo i galloni di formazioni tradizionali di prima linea sono per le tutt’altro che datate PA Racing e Erreffe, visto il ruolo diverso assunto da altre come la Balbosca o le iterazioni dei Munaretto.
Semplicemente è il tempo che passa ed il mondo che cambia. Un bene o un male? Un bene, nel senso che se c’è linfa nuova si può sperare di continuare. Un male, se lo si guarda nel senso della tradizione: suona certamente meglio un campionato con realtà consolidate. A meno che Aci non riesca ad assumersi sia il ruolo del trainante che del garante. Questa dovrà essere la sua prossima missione, per non rischiare di vedere smontarsi un massimo campionato che ha troppi titoli propri (ed ancor di più di alternativi) e pochi protagonisti per gran parte di essi. E che mostra segni preoccupanti in una delle sue colonne quantitativamente portanti: i trofei monomarca. Alla sostanziale ritirata della Renault e dell’Abarth dal Cir Aci Sport ha fatto coincidere un insensato aumento delle gare valide per i titoli minori. Senza parlare dello Junior in concorrenza con i monomarca ed estrapolato dal Cir.
Inciso in merito: Opel si è preoccupata di far sapere che a fine 2020 sarà disponibile la sua nuova R2 che sostituirà la Adam e sarà sviluppata sulla base della Nuova Corsa. Dunque finiscono i timori che l’ingresso nel Gruppo PSA segnasse la fine dell’attività sportiva del marchio non più tedesco.
Curioso (e per certi versi preoccupante) che si sia invece ribaltato il detto che gli atleti passano e le squadre restano, visto che intanto continuano a stupire alcuni piloti sportivamente nati abbondantemente nell’altro secolo proprio con quei team che non ci sono più. A conferma che la classe non è acqua, le primissime gare della stagione hanno rimesso sotto i riflettori i due coscritti del ‘65 da sempre rivali del coetaneo Paolo Andreucci: Pierino Longhi e, soprattutto, Renato Travaglia.
Totalmente fermo dal 2014 (unica parziale eccezione il vincente Rally di Roma con la Suzuki Baleno R1), il trentino sulla terra della Val d’Orcia ha impiegato poco più di un attimo per padroneggiare al meglio la Skoda R5. Non ha vinto, perché oggi le gare finiscono troppo presto, ma ha fatto in tempo ad essere il più veloce in tre prove speciali su sei nonostante una WRC, alla fine vincente ma per una inezia.
Questo è l’editoriale del direttore di RS e oltre di marzo 2019: scopri il giornale